Nel comasco una startup ha deciso di puntare tutto sul valore dei dati, mettendosi al servizio di altre imprese consolidate e accompagnandole nel percorso di digitalizzazione. Focus su Servitly, startup che ha sviluppato un software a supporto del percorso di servitizzazione delle imprese. Per FARE INSIEME STARTUP Giampaolo Colletti intervista Stefano Butti, fondatore Servitly
FARE INSIEME STARTUP è lo spinoff del progetto FARE INSIEME dedicato alla presentazione di alcune delle realtà presenti nel portfolio di Primo Ventures, società che gestisce fondi specializzati nel settore digitale e della new space economy. Con Primo Ventures Confindustria Emilia ha avviato una partnership. Obiettivo: offrire alle imprese associate nuove occasioni di crescita grazie alla presentazione delle startup più innovative sul mercato. Qui raccontiamo alcune loro storie.
di Giampaolo Colletti
@gpcolletti
Ci
sono incontri che segnano la vita delle persone e delle aziende. Quello con Tim
Baines, innovatore britannico e consulente d’azienda, ha segnato la storia di
questa startup. «Ad un evento ho conosciuto il prof. Tim Baines da cui per la
prima volta ho sentito pronunciare la parola servitization. Correva l’anno 2016 e avevamo avviato la prima fase
della startup segnata dal lavoro su diversi progetti di IoT che ci venivano
richiesti dai costruttori di macchinari. Tutti i progetti erano molto simili in
requisiti e caratteristiche. Avevamo trovato un bisogno comune. Però avevamo
capito anche che l'IoT non poteva essere un bisogno vero e proprio. Da qui poi
l’innesto con il concetto di servitization». A parlare è Stefano Butti, fondatore
di questa startup che ha sede a Lomazzo, nel comasco. Siamo nel Polo
Tecnologico Como Next. La realtà conta 13 dipendenti, un fatturato di 700.000
euro distribuito per il 60% in Italia e per il restante 40% all’estero con una
crescita dei ricavi ricorrenti del +30% all’anno. Il DNA è composto da due
elementi strettamente connessi: l'ingegneria del software e la passione per il
problema che il team mira a risolvere come una missione: accompagnare le
aziende nel loro percorso di servitization
grazie alle tecnologie digitali. «Queste due cose sono rimaste immutate. Per il
resto ci siamo dovuti adattare: a diverse industrie e alle loro fasi di
mercato, con o senza incentivi, all'evolversi della maturità digitale delle
aziende, ai cambiamenti legate alle tecnologie e ai trend della servitization», precisa Butti.
Identikit dell’azienda. In Servitly ci sono moduli
software strutturati, efficienti e scalabili. Il cuore sono i motori di
processamento dei dati che estraggono costantemente informazioni. Si valutano
le condizioni e in base a quelle si suggeriscono azioni da compiere e automazioni.
Così il dato si estrae e si sfrutta in una logica di servizi connessi, di servitization appunto. «Oggi le
statistiche europee dicono che l'80% dei dati generati dai prodotti connessi
non viene utilizzato. Non ci stupisce, perché capiamo tutte le difficoltà che
ci sono nell'elaborare e estrarre valore e distribuirlo alla catena del valore
dei produttori di apparecchiature. Tutto ciò è un dominio molto nuovo, dove
quelli che sono partiti stanno inventando nuovi software, che prima non
c'erano. Ma non deve essere così. Quei software sono tutti molto simili, e per
essere efficienti occorrono investimenti ingenti. Noi rendiamo direttamente
accessibile un software configurabile che ha già dentro di sé tutti quegli
investimenti», dice Butti. Oggi Servitly è usato da più di 40 produttori di
apparecchiature e macchinari e gestisce più di 20.000 prodotti connessi. Per
questa startup all'inizio è stato molto difficile tenere la barra dritta. Ma
poi le soddisfazioni sono iniziate ad arrivare. «Ci sono stati diversi momenti
appaganti, come l'aver ottenuto la fiducia di alcuni grossi clienti, l'aver
superato i primi 10.000 prodotti connessi, l’aver l'investimento da parte di
Primo Digital», precisa Butti.
Il fattore wow. Quando si parla di tecnologia vale
la regola della distintività. Verticalizzare l’offerta diventa vincente. «In
Servitly abbiamo diversi moduli software che si focalizzano su diversi casi
d'uso. Ogni modulo risolve i bisogni specifici di quel caso d’uso Un primo caso è il digital portal, portale da offrire ai clienti per dare loro accesso
ai dati del prodotto e al suo controllo remoto. Un altro caso è la manutenzione connessa, ossia rendere più
semplice, rapido e governabile il lavoro di manutenzione grazie alle
informazioni che si possono dedurre automaticamente dai dati dei prodotti. Un
altro caso è la monetizzazione di servizi digitali, contratti di manutenzione
connessa, parti di ricambio. Quest'ultimo è anche noto come machine customer», dice Butti. Intanto
la servitization resta un trend a
crescita lenta, ma costante. «Diverse forze macroeconomiche – la sostenibilità,
il ricambio generazionale – indicano che andremo sempre di più verso
un'economia dell'uso, del risultato, del servizio anziché del
possessodell'asset. Continueremo a investire nel nostro software per anticipare
i bisogni che saranno sempre più intensi lungo questa inesorabile
trasformazione», conclude Butti. Per abitare al meglio il futuro ci vogliono
competenza, costanza, coraggio.
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