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FARE INSIEME - Ep. 28 - Pactur e l’innovazione nelle macchine confezionatrici

«Così artigiani e così industriali: la strategia vincente è quella multi-mercato»

17/02/2022

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Sin dagli esordi nel 1986 ha rappresentato un’eccellenza per la filiera del packaging, arrivando a coprire i mercati di tutto il mondo. Da Zola Predosa la strategia vincente tra meccanica ed elettronica. Per Fare Insieme Giampaolo Colletti intervista Paola Dozza, socia e responsabile ufficio commerciale di Pactur

di Giampaolo Colletti
@gpcolletti

Photocredit: Giacomo Maestri e Francesca Aufiero

Se c’è un elemento distintivo delle aziende d’eccellenza di questo triangolo emiliano compreso tra Modena, Bologna e Ferrara è nell’equilibrio strategico tra l’essere artigianale e l’essere industriale. La vocazione artigiana si respira nelle soluzioni su misura. La vocazione industriale è nell’internazionalizzazione pioneristica. È questa la storia di Pactur, realtà a conduzione familiare impegnata nella produzione di macchine confezionatrici per pellicole termoretraibili, quindi in grado di stringersi con il calore. L’azienda è nata nel 1986 e sin dagli esordi è proiettata all’export. Così oggi non stupisce che sia più conosciuta fuori che in Italia. «Poi si è sviluppato anche il mercato domestico e oggi oscilla tra il 30% ed il 50%,ma la specificità è stata sin dagli esordi quel vendere nel mondo: dall’Europa al Sud-America, dalla Russia all’Australia e fino all’Estremo Oriente. All’epoca non c’era una visione così internazionale, ecco perché siamo stati pionieri», afferma Paola Dozza, socia e responsabile ufficio commerciale dell’azienda Pactur. La strategia vincente è stata quella di essere multi-localizzati e multi-mercato, abbattendo i confini tra i settori e garantendo così la continuità. «Bisogna spaventarsi quando un mercato prende il sopravvento, perché potrebbe rivelarsi pericoloso qualora le cose cambiassero. Ecco perché il nostro fatturato è composto datante commesse diverse, tutte importanti ma nessuna fondamentale. D’altronde viviamo delle nostre forze e delle nostre finanze e quindi se non facessimo così non potremmo permetterci un’eventuale crisi di mercato geografica o settoriale», precisa Dozza.  

Fattore tempo.
Per capire questo progetto imprenditoriale legato alla filiera del packaging dobbiamo spostarci a Zola Predosa, ventimila anime nell’area metropolitana bolognese adagiata tra pianura e collina, considerata la porta di ingresso della Val Samoggia, a circa dodici chilometri dalle Due Torri. Siamo nel 1986 e l’intuizione di Andrea Turra, che l’ha fondata, è quella di dare una risposta concreta al vivace distretto del pack, realizzando macchine confezionatrici all’avanguardia. Tutto parte dal montaggio per poi arrivare alla consegna finale del prodotto. L’investimento iniziale è stato di 5 milioni di vecchie lire italiane. Ma quello che ha fatto la differenza è l’essere stati precursori nel mercato, vendendo tante macchine manuali. Tutto questo ha permesso di finanziare la ricerca sulle macchine automatiche. Una crescita costante, dicevamo prima. Qualche anno dopo, precisamente nel 1992, la società ha rilevato la carpenteria a Zola Predosa che tagliava e piegava le lamiere per conto di Pactur. «Ai tempi era un approccio visionario. C’era e c’è sempre stato un grande gioco di squadra. Oltre a Turra, uno degli artefici del nostro successo è Claudio Tondi, ancora oggi il nostro capo-officina a cui riconosciamo lo sviluppo dell’elettronica nelle nostre macchine», ricorda Dozza. Oggi Pactur è un produttore cento per cento made in Italy. L’azienda dà lavoro a dodici persone per un fatturato di 1,5 milioni di euro. Tutte le macchine imbustatrici fanno lo stesso tipo di imballo, cioè saldano il cellophane intorno al prodotto e quando richiesto vanno a stringere il sacchetto al prodotto, in modo che diventi una sorta di seconda pelle. Il tempo va letto con le lenti della continuità e dell’evoluzione. «La richiesta delle macchine confezionatrici è cambiata negli anni, con una concentrazione che si è spostata da quelle manuali e semi-automatiche a quelle automatiche e con l’elettronica che oggi gioca un’importanza più strategica», dice Dozza.

Orgoglio italiano.
“Creare, migliorare, sostenere”: dietro queste tre azioni si riassume la mission. «Significa essere sì piccoli, ma avere grandi soluzioni all’avanguardia. Lavoriamo in un mercato dove i margini sono risicati, quindi dobbiamo individuare necessariamente delle soluzioni con macchine performanti. Ecco perché il nostro reparto prototipi dell’officina cerca soluzioni che possano distinguerci dagli altri», puntualizza Dozza. Lo sviluppo del mercato ha moltiplicato la concorrenza, soprattutto dall’Estremo Oriente, e tutto ciò ha colpito la fascia più bassa, fatta di quelle macchine con le quali Pactur era nata. Ecco allora la via di fuga verso quell’elettronica che fa la differenza. L’innovazione è tesa alla semplificazione, con l’alta qualità italiana. E per Dozza è un orgoglio sentirei clienti in fiera che commentano la bellezza e la funzionalità delle nostre macchine, ipotizzando che debbano essere necessariamente italiane. C’è poi il marchio di tutta la gamma Pactur, che riassume la filosofia. È Lady Pack e va tradotto letteralmente come “signora macchina”. «È un’espressione di ammirazione che si ha quando si guarda qualcosa che è molto bello, raffinato, di qualità. Si dice così di una “signora bicicletta” o di una “signora casa”. È il prodotto top», dice Dozza. Per lei negli anni la passione è rimasta immutata. Il futuro è fatto di elettronica, senza trascurare la meccanica e la carrozzeria, ossia l’estetica che è il sigillo dell’azienda. La macchina può imballare libri o panini, ma deve essere bella, arrivando a soddisfare tutte le esigenze del packaging con modelli multiuso. Così la sfida è costruire soluzioni più performanti e al tempo stesso più versatili, che possano confezionare prodotti di dimensioni differenti. Innovare sempre, fermarsi mai.

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