A Bologna nel 1990 è nato uno dei primi centri antiviolenza italiani, che da gennaio scorso ha una nuova sede in via Masia. Dalla sua apertura fino ad oggi sono oltre 16mila le donne che hanno trovato ascolto, sostegno e rifugio nell’associazione. Per FARE INSIEME Charity, Lucrezia Lanzani intervista Valeria D’Onofrio, socia, operatrice e responsabile del personale della Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna
FARE INSIEME CHARITY è lo spin-off del progetto FARE
INSIEME dedicato alla presentazione di alcune onlus e società no profit, realtà
fortemente presenti nei territori di Bologna, Ferrara e Modena e che svolgono
un lavoro straordinariamente importante e cruciale per l’intera comunità
di Lucrezia Lanzani*
“Femminicidio: termine con il quale si
indicano tutti gli omicidi di donne in quanto donne”. Questo tipo di violenza
estrema solitamente è il culmine di una storia di violenze contro la donna,
praticate attraverso diverse condotte misogine (maltrattamenti, abusi sessuali,
violenza fisica o psicologica).
Bologna, 1985: tre casi di stupro a
ragazze minorenni spingono alcuni collettivi a un dibattito sulla violenza di
genere. Cinque anni dopo, in Via Capramozza, nasce uno dei primi centri
antiviolenza: un gruppo di donne per le donne, con lo scopo di dare risposte a
chi ne ha la necessità. Parlare di violenza è l’unico modo per prevenirla. Nel
1990 le istituzioni accolgono il progetto di “Casa delle Donne per non subire
violenza”, ma il dubbio sull’esistenza del fenomeno persiste: in un territorio
con un grado di occupazione e istruzione così elevato, la violenza è
inconcepibile.
«Eppure sono state 350 le donne che
quell’anno hanno chiesto aiuto e da allora questo numero è sempre in crescita.
Ogni grande novità corrisponde a un incremento del numero di richieste. Prima
una casa rifugio, poi due, poi tre, fino ad arrivare ai 68 posti letto
attuali», racconta Valeria D’Onofrio, socia, operatrice e responsabile del
personale di Casa delle Donne.
Una crescita che non si ferma mai, come il
problema che affronta. Una realtà in continua evoluzione, frutto di uno studio
assiduo del fenomeno a livello globale, che ha portato a numerose
collaborazioni per fare fronte alle richieste delle donne. Contrariamente a
quanto spesso traspare sui media, la richiesta di giustizia e le denunce non
sono l’obiettivo primario ma solo uno dei tanti strumenti a disposizione delle
donne che vogliono intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza, ed
è possibile rivolgersi ai centri anche se non si desidera sporgere denuncia.
L’obiettivo principale è quello di interrompere il ciclo di violenza e
permettere alla donna di riacquisire controllo sulla propria vita.
«Casa delle Donne è anche questo: educare il
mondo a ciò che accade quotidianamente. Da anni organizziamo progetti di
sensibilizzazione per chiunque, dalla prima infanzia fino all’età adulta,
perché bisogna “decostruire” ciò da cui proviene realmente la violenza per
impedire che accada di nuovo», ricorda D’Onofrio. Il 25 novembre, Giornata
Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, l’associazione
organizza un festival culturale, per colmare una mancanza. Poco fanno le paure,
sta tutto nella cultura e nell’educazione.
Un lavoro certosino che dura nel tempo, ma
che ancora non è abbastanza. È inutile spettacolarizzare la violenza, Casa
delle Donne serve per ricordare che c’è una via d’uscita, una nuova occasione.
Così funziona da 34 anni: affronta il problema, trova le soluzioni e inventa
opportunità. Un impegno costante. L’offerta d’aiuto è ampia quanto la
richiesta: da appartamenti e case rifugio a percorsi di sostegno al lavoro e
alla genitorialità, al reinserimento sociale, assistenza legale e, da quasi 15
anni, risposte tempestive h24 a chiamate d’emergenza e richieste d’aiuto. «Ci
contattano donne vittime di violenza, prostituzione, tratta e le loro famiglie,
persone di ogni età e nazionalità. Nel solo 2023 abbiamo avuto quasi 1.000
percorsi a carico, tra progetti già avviati e nuove richieste», sottolinea D’Onofrio.
Le donne che hanno trovato rifugio presso
questa associazione, dalla sua apertura fino ad oggi, sono oltre 16.000: un
piccolo esercito di persone che hanno capito che la loro non era solo una storia
privata e hanno scelto di
raccontarsi e chiedere aiuto. La cosa più impressionante, a fronte di questi
numeri, è la speranza sui volti delle volontarie, che guardano ai loro
“successi” con determinazione, puntando sempre al massimo, riuscendo comunque a
mantenere il sorriso.
Questo ha permesso anche di dare vita all’Atlante dei
Femminicidi, un progetto di ricerca per mappare e rispondere a un fenomeno di
cui il mondo si sta finalmente rendendo conto, dopo anni di silenzio. Merito
delle associazioni come Casa delle Donne, che studiano il fenomeno della violenza
in diverse realtà esistenti, a partire dalla Città Metropolitana di Bologna, in
cui hanno trovato nuova sede in Via Massenzio Masia. «Una nuova struttura priva
di barriere architettoniche, che la rende accessibile a chiunque, una necessità
dal momento in cui abbiamo cominciato a studiare il fenomeno della violenza di
genere legata alle disabilità. Oltre a questo, da due anni collaboriamo
attivamente a un progetto riguardante altre vittime della violenza: gli orfani
di femminicidio, bambine e bambini che, per quella violenza, hanno perso
entrambi i genitori e famiglie che necessitano di sostegni», evidenzia ancora
Valeria D’Onofrio.
Casa delle Donne è una realtà così grande
che non ha intenzione di essere fermata. Esiste grazie alle fondatrici, che
probabilmente non si aspettavano tutto questo. Esiste grazie alle 50 socie,
alle operatrici e alle volontarie che devono seguire un corso di formazione per
essere in grado di fornire il supporto richiesto. Esiste grazie alle
collaborazioni, come quella con D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza.
Esiste per e grazie alle centinaia di donne che ogni anno trovano il coraggio
di intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza. Esiste grazie a
tutti i sostenitori che anche tramite iniziative di crowdfunding, come quello
lanciato per sostenere le spese di trasloco in via Masia, al quale è ancora
possibile contribuire, permettono alla Casa delle Donne di continuare a operare
nel territorio e di fare crescere il loro progetto, un progetto che non deve
avere mai fine, almeno fino a che anche una sola donna possa avere bisogno. Un
progetto che deve continuare a trovare soluzioni e ricordarci che il problema è
di tutti e non bisogna mai smettere di parlarne.
*Lucrezia Lanzani è una studentessa del Liceo Steam
Emilia, ha sedici anni e da sempre è interessata a tematiche sociali. Da tre
anni presta attività di volontariato in diverse realtà della sua comunità.
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