Nel cuore del verdissimo appennino bolognese, tra l’Emilia e la Toscana, a fine anni Ottanta prende forma un’azienda che diventa col tempo espressione del design italiano nel mondo. Radici ancorate al territorio e la capacità di scalare i mercati. Per FARE INSIEME Giampaolo Colletti intervista Marco Palmieri, presidente e amministratore delegato di Piquadro
di Giampaolo Colletti
@gpcolletti
Osservare senza sosta, osservare e ragionare. Ecco, questa è la storia di
un’osservazione continua di uno studente emiliano di informatica col pallino
della matematica e di un’intuizione geniale nata in un piccolo negozio di
pelletteria gestito dalla sua mamma nel cuore dell’appennino bolognese. Tenete
a mente che in questa storia l’amore per la matematica tornerà con forza anche
nel nome di un’azienda che sarebbe diventata negli anni icona di italianità,
espressione del design che il mondo ci invidia. In questo caso la parola d’ordine
è tempo. Ci vuole tempo per osservare, ci vuole tempo per fare le cose per bene
e ci vuole tempo per cogliere le opportunità del tempo, capire che è il momento
giusto per fare un passo importante. Certo, ci vogliono competenza, coraggio e
persino quella dose di incoscienza – dirà poi quello studente diventato grande
– ma ne vale sempre la pena. Restiamo a quello studente e a quel negozietto.
Siamo a metà degli Ottanta, anni in cui si prova e si riprova, anni in cui si getta
il cuore oltre l’ostacolo, anni nei quali l’innovazione tecnologica è ancora
lontana dal compiersi. E allora ci vogliono testa e cuore. E poi mani. Mani che
fanno, mani che si muovono velocemente, mani che non si fermano mai. Siamo a
Riola di Vergato, verdissimo paesino con meno di mille anime nella valle del
fiume Reno, in quell’estesa area metropolitana che abbraccia Bologna. Siamo a
quasi 300 metri sul livello del mare e siamo tagliati da quella statale 64 nota
come Porrettana, a metà tra Bologna e Pistoia. Inverni rigidi, estati fresche. «Mia
mamma aveva un piccolo negozio con prodotti di pelletteria e io mi ero
incuriosito sui sistemi di taglio della pelle. Così ho provato a coniugare la
tecnologia di quegli anni con la lavorazione di prodotti artigianali. In fondo
è l’azienda che ha plasmato me e non viceversa. E l’ha fatto proprio lì, in
quella meravigliosa terra che è casa mia». Sono le parole appassionate e consapevoli
di Marco Palmieri e questa è la storia della sua Piquadro.
Identikit dell’azienda. Palmieri
fonda l’azienda nel 1987 proprio qui, a Riola di Vergato. Si occupa di produzioni
per conto terzi e ne diventa presidente e amministratore delegato. Poi, dopo dieci anni di produzione in conto terzi per
prestigiose aziende italiane, lo studente diventato giovane imprenditore decide
di lanciare il proprio marchio che chiama Piquadro, assecondando il suo amore
per la matematica poiché la P elevata al quadrato sta per Palmieri e
pelletterie. Così dal 1997 produce in proprio con Piquadro, marchio italiano di prodotti
di pelletteria dal design innovativo e dall’alto contenuto tecnologico con un
posizionamento ben definito. Quanta strada è
stata fatta da quando quello studente decide di aprire la sua azienda nel cuore
dell’appennino tra Toscana ed Emilia. Fin dall’inizio Piquadro si ispira alla funzionalità,
alla tecnologia. «Da sempre
facciamo prodotti da viaggio. Non puntiamo tutto solo sulla bellezza, ma sul
design, sull’innovazione funzionale, sulla leggerezza. Si diventa icona
quando si intercetta un gusto che gli altri non hanno intercettato. Il tema è
quello dell’esperienza: inventare qualcosa di unico. Per me ciò che conta è la
cultura di impresa. Ed è fatta di tante cose: di prodotti, di etica, di
motivazione, di velocità, di talenti. Oggi il consumatore non vuole più
bugie. Consistenza è la parola d’ordine. In fondo uno più uno
uguale tre quando si lavora insieme», dice Palmieri.
La ricetta per fare
impresa. Oggi
Piquadro vende i suoi prodotti – borse, valigie e accessori – in oltre 50 Paesi
nel mondo con una rete distributiva di 1.500 punti vendita che includono centinaia
di boutique a insegna Piquadro di cui 40 all’estero. Una crescita senza sosta,
ma nel tempo. Ecco, quel tempo ritorna ossessivamente quasi a rimarcare la
necessità di uno sviluppo che non può bruciare le tappe. Deve essere
metabolizzato, addirittura partecipato dalle persone e dalla comunità. Il primo negozio
monomarca viene aperto nel 2000 in via della Spiga a Milano. Lo stile italiano, la qualità
della manifattura, l’impiego di pellami pregiati. E poi ancora l’originalità
del posizionamento. Nel 2006 l’inaugurazione dell’avveniristico stabilimento di
Gaggio Montano, cinquemila anime nel cuore dell’Appennino bolognese. Qui tuttora
ha sede l’headquarter e da qui viene assicurata la logistica per tutta Europa. «Il
legame col territorio lo portiamo avanti in modo attivo: con le scuole abbiamo
promosso programmi per sostenere le famiglie. Abbiamo mappato ragazzi che non
potevano permettersi computer in casa e la connessione internet», ricorda
Palmieri. Nel
2016 l’acquisizione dello storico marchio fiorentino The Bridge, tradizione
della pelletteria toscana. E poi la collaborazione con tante scuole di design.
Tutto rose e fiori? Macché. «Gli esordi sono stati difficilissimi. Certo,
c’era l’entusiasmo iniziale e c’era una gran voglia di fare, ma c’era anche inconsapevolezza.
Però la passione ti fa vincere un sacco di difficoltà. Lo scoglio più duro?
Quando siamo passati dal sogno del progettare alla concretezza del produrre. La
produzione è fatica. All’epoca non avevamo le competenze, le sensibilità, i
processi. Con mia moglie ci siamo messi giorno e notte nel garage di casa a
cercare di fare meno danni possibili. Questo momento difficile è durato un anno.
Poi ho iniziato a ricevere offerte dai primi venture capital che riuscivano a
cogliere la forza di questa proposta. Andavano oltre quella produzione di borse
per i nostri clienti. I private equity sono la soluzione per crescere, ma
anche il riconoscimento del lavoro», racconta Palmieri. Identità emiliana che però
guarda al mondo intero. Perché se quel legame viscerale con la sua terra non
lo abbandonerà mai, Palmieri osserva i mercati mondiali. E decide di fare le
cose in grande. Nel 2007 Piquadro viene quotata in Borsa e prosegue la sua espansione
nel mondo. Con un occhio attento a quel luogo da cui ogni cosa è partita. «Ho
avuto due elementi che mi hanno consentito di innovare nei processi e nei prodotti:
i miei genitori facevano un altro mestiere e non ero in un distretto. Perché i
distretti esistono eccome e sono acceleratori: se vai con una buona idea trovi
capitale umano e tecnologia. Di contro è anche vero che non essere in
un distretto sprona a diventare più innovativi», dice Palmieri. E torna
con forza quell’idea del tempo. Ci vuole tempo per costruire, ma bisogna
abbattere il tempo per rispondere in modo veloce al mercato che evolve
rapidamente. Ne è convinto Palmieri. «Certo, la barra è dritta nel lungo
termine, ma si lavora giorno dopo giorno con la necessità di cambiare
rapidamente».
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