Benvenuti
nel distretto biomedicale di Mirandola, meno di venticinquemila anime a nord di
Modena. Terra di talenti con radici ben piantate e la capacità di esportare
eccellenze ovunque nel mondo: in quest’area hi-tech c’è B. Braun. Storia di
ricerca, innovazione e soprattutto ascolto. Per FARE Insieme Giampaolo Colletti
intervista Giuliana Gavioli, senior vice-president R&D di B. Braun Avitum.
di Giampaolo Colletti
@gpcolletti
Photocredit: Giacomo Maestri e Francesca Aufiero
Ci
sono storie fatte di un prima e un dopo. Al centro come spartiacque esperienze spesso
dolorose e che si possono affrontare solo partendo dalle persone e dal gioco di
squadra. Anzi, da un gioco che coinvolge squadre diverse. In fondo è ciò che è
successo a B. Braun in Italia con il dramma del terremoto che ha coinvolto
l’Emilia ormai quasi dieci anni fa. Questo colosso mondiale nato in Germania e oggi
presente in 160 Paesi del mondo con più di quaranta società ha affrontato in
prima persona proprio la cesura del sisma in Emilia. E l’ha fatto con coraggio
e determinazione. «D’altronde
è nella caratteristica degli emiliani sfruttare quello che succede, anche le
situazioni più difficili e angosciose, e trasformarle in un’opportunità. Anziché
abbatterci abbiamo deciso di darci ancora più da fare e abbiamo premuto sull’acceleratore», afferma Giuliana Gavioli, senior
vice-president R&D e dal 1991 al lavoro in azienda. Siamo nel distretto
biomedicale di Mirandola, meno di venticinquemila anime a nord di Modena. Terra
di talenti con radici ben piantate e la capacità di esportare eccellenze
ovunque nel mondo: in quest’area emiliana hi-tech c’è il meglio del settore biomedicale.
E tra le tante realtà c’è B. Braun. L’azienda si occupa da sempre di sistemi
terapeutici per emodialisi, dialisi per pazienti acuti ed aferesi. È anche uno dei
maggiori fornitori al mondo di sistemi per il trattamento extracorporeo del
sangue, con una gamma completa che inizia con la fase di ricerca e sviluppo,
prosegue con la produzione e arriva fino alla terapia sul paziente, gestendo persino
una propria rete di centri di dialisi. In questo distretto mirandolese impiega
più di 250 professionisti.
Dalla
Germania all’Italia. Il gruppo in realtà nasce nel 1922 in
Germania, precisamente a Melsungen, piccola cittadina di origine medievale di quindicimila
abitanti situata nel land dell’Assia, nel circondario di Schwalm-Eder.
L’approdo in Italia avviene come prima filiale estera. Oggi da noi sono quattro
le società del gruppo, per un totale di oltre settecento professionisti e un
fatturato aggregato di oltre 258 milioni di euro all’anno. C’è B. Braun Milano,
dedicata a prodotti e servizi per l’anestesia, medicina intensiva, nutrizione
artificiale, terapia infusionale, chirurgia, cardiologia, medicina generale,
assistenza domiciliare, medicina dentale e veterinaria. C’è B. Braun Avitum
Italy, con servizi e impianti focalizzati proprio sulla dialisi. E ancora c’è ATS
Italia, che offre soluzioni avanzate legate alla manutenzione per la chirurgia.
Infine, c’è B-Pack, leader nella produzione di packaging primari e secondari
nel settore medicale e alimentare. È l’ultima realtà arrivata, acquisita da
poco tempo e leader nella produzione di imballaggi primari e secondari. Ed è il
segno che non ci si ferma mai. «Innovare
è un imperativo, e farlo partendo dalle persone una necessità per crescere al
meglio», precisa Gavioli. Ma torniamo agli
impianti produttivi nel distretto di Mirandola, quelli focalizzati sulla
dialisi e plasmaferesi, quindi essenziali per la sopravvivenza di alcuni
pazienti. A partire dal 2007 proprio la sede di Mirandola diventa un Centro di
Eccellenza per lo sviluppo e il design dei tubatismi, di kit, contenitori, accessi
vascolari e cateteri della BU Avitum.
L’esperienza
del terremoto. Ancora Mirandola. E in questo caso c’è il
cadere e il rialzarsi rapidamente. Determinazione, coraggio, voglia di
riscatto. C’è tutto questo e molto altro nella storia delle donne e degli
uomini di B. Braun. Una storia declinata al plurale, perché ha coinvolto una comunità
sì ferita profondamente, ma solidale e animata dalla voglia di fare. Nel maggio
2012 due violenti terremoti hanno colpito l’Emilia e in particolare l’area di
Mirandola, danneggiando in modo significativo lo stabilimento. Subito dopo il
sisma i magazzini erano pieni e la produzione ferma. Ma c’era la necessità di
ripartire per dare voce ai 45mila pazienti in dialisi sul territorio italiano
serviti al 90% proprio dalle aziende del distretto di Mirandola. Nonostante
tutto questo – o forse proprio per questo – si è riusciti a far ripartire la
produzione e la fornitura di prodotti salvavita per i pazienti e gli ospedali
in Italia ed all’estero. «Non
ci si poteva piangersi addosso, non c’era tempo. Abbiamo avuto riscontri incredibili
dalle nostre persone e dalla comunità. I Vigili del Fuoco ci hanno permesso di puntellare
la struttura e abbiamo ideato un muletto teleguidato, tipo quello usato in
ambienti nucleari, e abbiamo svuotato così in sicurezza il nostro magazzino. Fuori
dall’edificio inagibile avevamo a disposizione un server e una persona con la
memoria storica per andare avanti nel dare assistenza ai pazienti. E poi c’è
stata la solidarietà dei nostri fornitori nell’area, che ci hanno accolto nelle
loro sedi per continuare a lavorare. Con quelli che sono definiti competitor
del territorio ci siamo aiutati tantissimo. Abbiamo fatto squadra tra squadre
diverse, con un senso di responsabilità e appartenenza che va oltre le casacche
aziendali»,
ricorda Gavioli.
Poi
la ricostruzione, iniziata già dal mese successivo, ossia a giugno 2012, e il
completamento dei lavori con nuovi laboratori e un magazzino tecnologico. Il
tutto realizzato in soli sette mesi, utilizzando tecniche all’avanguardia e
materiali altamente performanti per la sicurezza e sostenibilità ambientale. «Come è stato possibile? Perché
abbiamo scommesso sulle persone. Abbiamo vissuto due terremoti a distanza di
una settimana l’uno dall’altro, il secondo particolarmente di impatto. I danneggiamenti
sono stati strutturali e hanno comportato l’inagibilità. E poi su tutto c’è
stata la tragedia umana, con sedici morti nel nostro territorio. Certe cose non
puoi dimenticarle. Della ripartenza ricordo quasi tutto perché quel dramma che
abbiamo vissuto è indimenticabile. Ma dei mesi successivi, ossia della
ripartenza, ho un bel ricordo. Da una parte il senso di comunità, non solo
locale e quindi regionale, ma italiana»,
dice Gavioli. Una crescita continua. A ottobre 2016 viene inaugurata una nuova
area produttiva per un innovativo tipo di sacche per nutrizione artificiale.
Due anni dopo, si completa la costruzione di un nuovo edificio per uffici e una
terza “camera bianca” con attrezzature avanzate per la produzione di
contenitori speciali per un nuovo farmaco destinato al mercato americano.
Ieri,
oggi, domani. Tra passato e futuro, nel segno dei
valori. «Sono
quelli che fanno la differenza, la nostra bussola. Abbiamo mantenuto i nostri
valori, che sono fondamentali. D’altronde il nostro motto è sharing expertise.
La condivisione diventa strategia e i nostri dipendenti sono considerati
ambasciatori del gruppo. I pazienti sono sempre stati al centro e con loro
siamo in contatto costante. È l’ascolto che fa la differenza». Cosa è cambiato nel tempo? Gavioli
non ha dubbi. «Tutto
e molto rapidamente da sorprendere anche me. Lavorando in questa azienda ho
imparato tanto su più fronti automazione industrializzazione e digitalizzazione.
La parte legata alla digitalizzazione ha trasformato l’azienda. Oggi abbiamo nuovi
capannoni eco-sostenibili in questo distretto biomedicale emiliano che è un
gioiello nel mondo».
Clicca qui per ascoltare il podcast sulle principali piattaforme di ascolto https://podcast.confindustriaemilia.it/
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