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Green economy? Risposta alla crisi e sfida per il futuro

14/02/2018

La green economy è un formidabile fattore di competitività ed è stata in questi anni difficili la migliore risposta alla crisi, una strada che guarda avanti e affronta le sfide del futuro. Lo dimostrano i numeri di "GreenItaly 2017", l’ottavo rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere, promosso in collaborazione con il Conai, con il patrocinio del ministero dell’Ambiente e con il contributo di Ecopneus e presentato presso l'azienda Ima a Ozzano Emilia(Bologna) dal presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci e dal segretario generale di Unioncamere Giuseppe Tripoli. Tra i relatori anche il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccinie il presidente e ad di Ima nonché presidente di Confindustria Emilia Alberto Vacchi.

Il rapporto misura e pesa la forza della green economy nazionale: più di un’impresa su quattro dall’inizio della crisi ha scommesso sulla green economy, che in Italia significa più ricerca, innovazione, design, qualità e bellezza. Sono infatti 355mila le aziende italiane, ossia il 27,1% del totale, dell’industria e dei servizi che dal 2011 hanno investito in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2. Una quota che sale al 33,8% nell’industria manifatturiera, dove l’orientamento green si conferma un driver strategico per il made in Italy, traducendosi in maggiore competitività, crescita delle esportazioni, dei fatturati e dell’occupazione. E nel 2017 si è registrata una vera e propria accelerazione della propensione delle imprese a investire green: lo scorso anno ben 209mila aziende hanno investito su sostenibilità ed efficienza, con una quota sul totale (15,9%) che ha superato di 1,6 punti percentuali i livelli del 2011.

Alla nostra green economy si devono già 2 milioni 972mila green jobs, ossia occupati che applicano competenze "verdi". Una cifra che corrisponde al 13,1% dell’occupazione complessiva nazionale, destinata a salire ancora. Dalla nostra economia ‘verde’ sono arrivati infatti lo scorso anno altri 320 mila green jobs e considerando anche le assunzioni per le quali sono richieste competenze green si sono aggiunti ancora 863mila occupati. Insieme all’occupazione la green economy crea anche ricchezza: i circa 3 milioni di green jobs italiani contribuiscono infatti alla formazione di 195,8 miliardi di euro di valore aggiunto, pari al 13,1% del totale complessivo. Il salto competitivo e  innovativo che la green economy riesce a far compiere alle imprese trae forza anche dal forte connubio “green-R&S”, perché, ad esempio, le medie imprese industriali che investiranno quest’anno in ricerca e sviluppo sono il 27% tra quelle che puntano sull’eco-efficienza e solo il 18% tra le altre.

"GreenItaly 2017" ci dice che la green economy è una efficace leva per lo sviluppo, un paradigma produttivo sempre più forte e diffuso nel Paese. In termini di imprese, che in numero crescente fanno scelte green. E in termini di risultati, nei bilanci, nell’occupazione.  Un  modello che ha a cuore la crescita delle comunità e la qualità della vita dei territori. Il 69%  delle medie imprese green si impegna in sostegno alla sviluppo del proprio territorio, mentre tra le imprese non green tale percentuale scende al 36%.

Qui Emilia-Romagna. Con 32.960 assunzioni di green jobs programmate dalle imprese nel 2017, il 10,4% del totale nazionale, l’Emilia-Romagna è la terza regione italiana per numero di assunzioni verdi previste. L’Emilia-Romagna è poi quarta nella graduatoria regionale per numero assoluto di aziende che hanno investito in green economy con 29.480 imprese.
 
Passando dal livello regionale a quello provinciale, sono Bologna, Modena e Reggio Emilia le province che maggiormente contribuiscono al ‘piazzamento’ dell’Emilia-Romagna sul terzo gradino del podio dei green jobs. Bologna con le sue 8.960 mila assunzioni programmate di green jobs nel 2017 è non solo la provincia più virtuosa dell’Emilia-Romagna, ma anche la sesta provincia italiana; Modena a quota 6.660 è ottava a livello nazionale e Reggio Emilia con 4.040 assunzioni previste è la ventesima provincia italiana.
 
Bologna con le sue 7.390 imprese green è la provincia più virtuosa dell’Emilia-Romagna. Seconda Modena con 5.090 imprese green, terza Reggio Emilia a quota 3.350. Seguono Parma con 3.100 imprese green, Rimini con 2.400, Forlì-Cesena a quota 2.390 imprese green, Ravenna attestata a 2.330 imprese green, Piacenza con 1.750 e Ferrara a 1.690. La performance della provincia di Bologna è confermata anche su scala nazionale: è all’ottavo posto in Italia nella graduatoria provinciale per numero di imprese green.

Tra gli esempi eccellenti della green economy regionale c'è la Ima. Il gioiello della packaging valley emiliana è attento all'impatto economico, sociale e ambientale del ciclo produttivo. A Bologna città ha sede un’altra delle eccellenze green italiane: lo studio Mario Cucinella Architects, tra i più importanti attivi oggi in Europa nella progettazione architettonica con particolare attenzione alle questioni della sostenibilità, del design industriale e della ricerca tecnologica. Ancora per la provincia di Bologna è da citare Tazzari, produttore di un quadriciclo pesante elettrico con telaio in alluminio incollato con colle di derivazione aerospaziale che garantisce massima sicurezza e alte prestazioni.

Ha base nella provincia di Modena Florim Ceramiche che utilizza polveri, impasti e residui della lavorazione di altri prodotti che normalmente l’azienda dovrebbe inviare allo smaltimento per realizzare lastre ceramiche. Passando alle imprese green della provincia di Rimini va citata Ecomat, ideatrice del sistema Oltremateria, per la creazione di ambienti ecocompatibili attraverso pavimenti e rivestimenti continui a base d’acqua, atossici e certificati.

Per Ferrara risalta Greentech produttrice di un pavimento che utilizza totalmente plastica riciclata. Ha sede in provincia di Reggio Emilia Zare con il suo impianto per la stampa tridimensionale del metallo più grande del mondo: la macchina consente di produrre pezzi con pesi minori rispetto alla manifattura tradizionale, che si traducono in minori quantità di energia necessaria per la loro movimentazione nel contesto del macchinario su cui operano.

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