di Generoso Verrusio
Quirinalista, ovvero un esperto di fatti legati alla presidenza della Repubblica. Tra i finalisti del Premio Estense 2022 c’è anche Marzio Breda con il suo “Capi senza Stato”. La nostra intervista al giornalista di lungo corso del Corriere della Sera tra fatti e 'off the record' degli ultimi cinque presidenti della Repubblica. "Per fortuna ho ottenuto la loro fiducia (in qualche caso anche l’amicizia) e ho cercato di farne un uso responsabile. Vale a dire che, quando mi veniva chiesta riservatezza, la garantivo, offrendo comunque ai lettori la genesi delle loro scelte con cognizione di causa. Senza faziosità o storture".
19 articoli della nostra
Costituzione sono dedicati al presidente della Repubblica. È lui la più
tetragona delle garanzie per la tenuta della nostra democrazia?
"Secondo i costituenti i capi
dello Stato devono essere rappresentanti dell’unità nazionale e garanti della
Costituzione, oltre a officiare i riti repubblicani. Per esempio sciogliere le
Camere, nominare i presidenti del Consiglio, promulgare le leggi… Un ruolo 'notarile', con l’inquilino del Colle nella doppia veste di
mediatore-regolatore, di scelte compiute comunque dal sistema dei partiti. Un
ruolo rimasto imbalsamato in questa cifra minimalista fino ai primi anni
Novanta. Quando tutto naufragò sotto i colpi dell’inchiesta Mani Pulite, che fece
tabula rasa dei partiti, mentre l’economia entrava in affanno e la mafia attaccava
il cuore dello Stato. Uno scenario cupo, che era stato anticipato con la 'profezia
della catastrofe' di Cossiga attraverso le sue picconate. È con lui che comincia
la metamorfosi dei presidenti, in bilico tra le prerogative 'altissime e
vaghissime' di cui dispongono e le attese dei cittadini, smarriti di fronte alla
caotica instabilità italiana. È così che il Quirinale diventa
la camera di compensazione delle crisi, un centro di neutralità e tutela, per
un sistema scosso da una transizione ancora irrisolta. Il fatale sviluppo
evolutivo ha fatto dei presidenti delle figure camaleontiche e ibride, un po’
simboli e un po’ arbitri, un po’ capitani e un po’ tutori e - soprattutto
all’estero - delle autorità morali. Il loro interventismo è giustificato dal
potere (non scritto) di mediazione sottinteso a una simile carica. Per venire
alla sua domanda, bisogna rievocare Carlo Esposito, padre del costituzionalismo
liberale, il quale sosteneva che quando il sistema si inceppa il capo dello
Stato diventa legittimamente 'il motore di riserva' della Repubblica. Questo
spiega tutto. Compresa la spinta a trasformarsi, com’è successo in qualche
momento, in 'presidenti governanti'".
Cossiga, Scalfaro, Ciampi,
Napolitano, Mattarella. Cinque presidenti e altrettanti “stili di regia”. Un
trentennio di giornalismo a contatto con la prima carica dello Stato. Come si
conserva autonomia e spirito critico a questo livello?
"Per superare l’ufficialità e
ricostruire, oltre alla scena, i retroscena degli eventi politico-istituzionali,
bisogna coltivare un rapporto con i consiglieri del capo dello Stato. Nelle
fasi più critiche è però decisivo il dialogo diretto con gli stessi presidenti,
che non è mai facile instaurare. Per fortuna io ho ottenuto la loro fiducia (in
qualche caso anche l’amicizia) e ho cercato di farne un uso responsabile. Vale
a dire che, quando mi veniva chiesta riservatezza, la garantivo, offrendo comunque
ai lettori la genesi delle loro scelte con cognizione di causa. Senza faziosità
o storture, e rifuggendo la deferenza acquiescente in cui potevo cadere".
Da quale è riuscito a
ottenere il maggior numero di confidenze, seppure off the record?
"Da Scalfaro e Napolitano, che
furono bersaglio di dure contestazioni durante i loro mandati. Forse per questo
volevano motivare dettagliatamente, nelle chiacchierate che mi dedicavano, le
proprie decisioni. Ma ho avuto familiarità pure con Cossiga e Ciampi e amicizia
me l’ha dimostrata anche Mattarella".
Napolitano e poi
Mattarella hanno sfondato il limite del settennato.
"Napolitano, nel giorno della
rielezione, disse: ‘'Si è dischiusa una finestra per tempi eccezionali'. Aveva
ragione e questa frase vale anche per l’esperienza di Mattarella. Uno sguardo
retrospettivo ci riporta alla mente quanto la situazione politico-parlamentare
fosse paralizzata e i partiti delegittimati. Insomma, rieleggerli era l’unico
modo per salvare il salvabile. Non c’erano alternative”.
L’elezione di Draghi al
Quirinale, direttamente da Palazzo Chigi, avrebbe prodotto una torsione
accettabile per il nostro sistema democratico?
"Einaudi fu eletto capo dello
Stato mentre era governatore della Banca d’Italia, ed esercitò il mandato con
un’autorevolezza tale da diventare il paradigma del buon presidente. Lo stesso imprinting
ebbe Ciampi: entrambi furono, a fasi alterne, degli economisti prestati alla
politica. In base a questi precedenti non credo che se il Parlamento avesse
votato Draghi (lui pure già al vertice di Bankitalia e poi della Bce) si
sarebbe creato un vulnus per la democrazia, né che il sistema sarebbe entrato
in torsione. Avrebbe certificato, questo sì, un estremo affanno della classe
politica. Ma nulla di più".
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