A Bologna dieci anni fa nasce un’idea che riesce a scalare interesse dei cittadini e attenzione dei comuni e delle aziende. Il risultato è un patrimonio condiviso che oggi conta oltre 2 milioni di packaging censiti, di cui più di 500mila caricati grazie alle segnalazioni spontanee dei cittadini. Per FARE INSIEME Giampaolo Colletti intervista Noemi De Santis, socia fondatrice e responsabile della comunicazione di Giunko
di Giampaolo Colletti
@gpcolletti
Dimenticatevi
i garage, luoghi iconici dove nascono le startup di mezzo mondo. In questa
storia tutto parte da una cucina di una casa universitaria. Siamo a Bologna, ed
ecco l’intuizione di Giacomo Farneti, uno dei soci fondatori di Giunko: creare un’applicazione per la raccolta
differenziata utile, completa, gratuita. Di necessità virtù, potremmo dire.
Perché Giacomo, viaggiando spesso per lavoro, aveva toccato con mano la
difficoltà di conciliare l’impegno per una differenziata corretta con la grande
eterogeneità di regole in vigore nei comuni italiani. Frazioni di raccolta
diverse, bidoni di colori ambigui: con tutta la buona volontà, il rischio di
sbagliare era sempre dietro l’angolo! Da qui l’idea, semplice e rivoluzionaria,
di collegare le informazioni di
conferimento geolocalizzate sulle regole locali e i materiali dei
packaging con un elemento che permettesse di identificare in modo univoco i
prodotti. E grazie a cosa i prodotti sono unici? Beh, il merito è del codice a
barre stampato sulle confezioni. In questo modo, scansionando con la fotocamera
il codice a barre, chiunque avrebbe sempre saputo come differenziare
correttamente l’imballaggio che aveva tra le mani, in base alle regole del comune
in cui si trovava. In seguito l’app ha aggiunto anche la ricerca tramite
riconoscimento immagine, allargando a dismisura la gamma dei rifiuti
riconoscibili con un clic. Detto, fatto. Il primo test in notturna in un
supermercato bolognese subito fuori le mura. Funziona. Si parte.
Identikit
dell’idea. Ecco, tutto comincia da un gesto semplice, quasi
banale, persino sottovalutato. Una mano che tiene una confezione qualunque e
una domanda che unisce milioni – di più – miliardi di individui nel mondo: ma dove
si butta? È in quella incertezza quotidiana che più di dieci anni fa nasce un’impresa
che ha un valore di cittadinanza attiva. Perché smuove le coscienze impigrite,
sveglia l’attivismo dei piccoli gesti quotidiani, accresce quel legame tra
imprenditorialità e comunità. Dieci anni fa prende vita Junker, l’app che ha
cambiato per sempre il rapporto fra cittadini e rifiuti. Oggi questa realtà è
molto più di una bussola per la raccolta differenziata: è una piattaforma che
serve 30 milioni di cittadini in oltre 3.500 comuni, diventata parte integrante
dell’infrastruttura ambientale del Paese. «La nostra missione è stata chiara
fin dall’inizio: mettere il digitale al servizio della persona. La
sostenibilità deve essere semplice, comoda, a portata di mano. Solo così
diventa davvero quotidiana», racconta Noemi De Santis, socia fondatrice e
responsabile della comunicazione di Giunko. E allora l’intuizione geniale: la
scansione del codice a barre rivela in pochi secondi il bidone giusto in base
al comune di appartenenza. Ecco il riconoscimento fotografico degli oggetti, la
mappa dei punti di conferimento speciali, dall’olio esausto ai Raee, quando ciò
che stringiamo non entra nei bidoni di casa.
Identikit
dell’azienda. Negli anni gli italiani hanno imparato a
usare Junker come un vero tutor personale. Ma la crescita dell’app non è stata
solo tecnologica. È stata sociale. Comunitaria. Perché gli utenti non si
limitano a cercare informazioni: le generano. Se un prodotto non è ancora
presente nel sistema, basta una foto per segnalarlo. Il resto lo fa il team di
classificazione interno. Il risultato è un patrimonio condiviso che oggi conta
oltre 2 milioni di packaging censiti, di cui più di 500mila caricati grazie
alle segnalazioni spontanee dei cittadini. «È il nostro vero tesoro di
conoscenza e a volte arrivano immagini bellissime e divertenti: c’è chi mette
un fiore accanto alla confezione, chi ci manda persino un gattino in posa»,
dice De Santis. Curiosamente le segnalazioni stanno diminuendo: circa 18mila
l’anno. Una soglia di maturità, non un segnale di disaffezione. «Significa che
il database è ormai quasi esaustivo. Manca pochissimo: solo prodotti molto
locali o di nicchia. Ma la partecipazione dei cittadini resta altissima».
Le sfide di oggi e di
domani. Anche perché Junker è diventata una porta d’ingresso ai servizi del
territorio: ritiro ingombranti, prenotazioni, comunicazioni dirette con gli
uffici, perfino gestione dell’idrico. «I cittadini sono pronti, chiedono un
unico punto di accesso affidabile. Il digitale semplifica e unisce: non obbliga
a cercare numeri o moduli sparsi sul web», dice De Santis. Una comunità ampia
anche linguisticamente: Junker è tradotta in 13 lingue, unica nel suo genere.
«La sostenibilità non può escludere nessuno. Nonni, stranieri, turisti: la
differenziata deve essere possibile per tutti, sempre». Da qui l’impegno
sull’accessibilità, dalle interfacce ottimizzate alle best practice
internazionali. E poi c’è il domani che guarda all’Europa. Perché il modello di
Junker, radicato nei territori ma costruito su una tecnologia modulare, è
pronto a varcare i confini nazionali: norme UE, Green Deal, nuovi standard per
i packaging e digitalizzazione delle informazioni ambientali. «Junker è un
ponte culturale tra tecnologia e coscienza ecologica. L’Europa sta cercando
questo linguaggio. Noi ci siamo già arrivati con anni di anticipo», ricorda De
Santis. Forse il futuro della sostenibilità non passerà da grandi rivoluzioni
urlate, ma da una notifica sul nostro smartphone perennemente connesso, da un
gesto di pochi secondi, da una comunità silenziosa ma determinata a cambiare il
mondo a partire da un cestino.
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