di Generoso Verrusio
Un libro per capire la scuola italiana, ma soprattutto per spazzare
via cliché e luoghi comuni. Un messaggio d’amore nei confronti della cultura e
delle giovani generazioni, che Dacia
Maraini, autrice finalista del premio Estense 2022, ci consegna all’interno di un
volume a metà tra prosa giornalistica e letteratura. "La scuola", ci ricorda
l’autrice, "può fare la differenza soprattutto in momenti di crisi".
La scuola come entità
salvifica di una (sempre più) scalcinata comunità nazionale. Benché sia, come
istituzione, perennemente sotto tiro. Che cosa la spinge a pensare alla sua
missione in termini ottimistici?
"Sono ottimista perché vado continuamente nelle scuole e
vedo che tanti presidi e insegnanti si danno da fare con coraggio e generosità.
Suppliscono all’assenza dello Stato che finora ha sempre tagliato e mai
investito in questo settore strategico per la crescita di un Paese che si vuole
definire civile".
Scuola privata contro
scuola pubblica, istruzione tecnica contro istruzione liceale. Pare che la
tecnologia e la modernità siano appannaggio di una sola categoria tra quelle appena
citate. Il dibattito mediatico predilige una visione strumentalmente manichea.
A chi conviene di più?
"Non mi sembra che la scuola privata sia tutta puntata sulla
tecnologia. Da quello che vedo io, i genitori mandano i figli alla scuola
privata per ragioni di controllo e supervisione. Un controllo, è il loro
pensiero, che sia capace di combattere bullismo e droga. Ed è di tutta evidenza
che questi genitori sono disposti a pagare salato per ottenere questo
obbiettivo, non tanto per prepararli all’istruzione tecnica. Un bel paradosso, non
crede? Questa contrapposizione stolta e pretestuosa ingrossa le file di chi vede
unicamente nel pubblico il male assoluto della società italiana. Consiglierei
un po’ più di cautela nei giudizi".
Sulla scuola tutti i
governi hanno provato a legiferare ma senza riuscire a migliorarla. Mi pare che
su questo punto lei sia d’accordo. Veniamo all’oggi. Qual è il suo giudizio
sulla proposta di riforma Bianchi?
"Non conosco in modo approfondito la riforma Bianchi per
esprimermi. Ciò che posso dire è che la tendenza degli ultimi decenni è stata
di considerare la scuola un’azienda che produce dei tecnocrati. Mentre secondo
me la scuola non deve produrre niente, ma solo formare dei cittadini
consapevoli e responsabili, senza paraocchi, con la mente
aperta e critica. La scuola, detta in altri termini,
deve insegnare a pensare con la propria testa confrontandosi coi grandi
pensatori del passato e con la Storia nella sua complessità".
Ma la scuola italiana
sforna davvero solo somari, citando il titolo (in chiave ironica) di una
recente e bella inchiesta a puntate del Fatto Quotidiano?
"Non sono d’accordo con chi prende sul serio questa provocazione.
Ci sono certamente molti somari, ma quelli ci sono sempre stati. Ci sono
invece tanti ragazze e ragazzi intelligenti e vogliosi di apprendere
e di capire. Sono quelli che, appena usciti dall’università, sono
costretti ad andare all’estero per trovare lavoro e si guadagnano subito stima
e fiducia. Vuol dire che la nostra scuola è capace di creare donne e
uomini di valore, cavalli di qualità e non somari. Semmai il problema sta
nella media. Il fatto che non si investa in giovani e nuovi insegnanti, che le
classi siano sempre più numerose, che si stia risparmiando sugli insegnanti di
sostegno, fa sì che molti rimangano indietro. Insomma, dalle nostre
scuole, abbandonate a sé stesse, vengono fuori i migliori e questo va bene per
la meritocrazia, ma non va bene per la generale istruzione delle nuove
generazioni".
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