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Il Premio Estense negli anni Duemiladieci

13/09/2024

Quest’anno il Premio Estense celebra il sessantesimo anniversario e con l’occasione riviviamo i suoi 60 anni di storia attraverso un ciclo di articoli scritti con la collaborazione di due studenti del master in giornalismo dell’Università di Bologna, Chiara Putignano e Giuseppe Nuzzi. Vi presentiamo insieme l’ottavo e il nono articolo che descrivono il legame tra il Premio Estense e rispettivamente la prima parte degli anni Duemiladieci, anni in cui molti paesi europei vengono travolti dalla crisi del debito, e lo spread inizia ad impennare anche in Italia, e la seconda parte degli anni Duemiladieci, anni in cui i libri finalisti hanno affrontato in modo particolare il delicato tema della mafia e le sue ramificazioni in diverse parti dell’Italia.

«Hanno ucciso papà. Ma queste cose succedono nei film, non può essere vero. I compagni dell’asilo non mi credono. Allora insisto: hanno ammazzato papà, gli hanno sparato». È con un racconto in prima persona che Benedetta Tobagi – figlia di Walter, storica firma del Corriere della Sera, ucciso a Milano il 28 maggio 1980 – si aggiudica il Premio Estense nel 2010. Il titolo del libro è Come mi batte forte il tuo cuore. Pagine nate dalla necessità di «riportarlo vicino, nella mente e nel cuore, dove nessuno avrebbe potuto strapparmelo di nuovo».  

L’anno seguente – in un clima drammatico – in cui molti paesi europei vengono travolti dalla crisi del debito, lo spread inizia ad impennare anche in Italia. A cambiare, sono anche i toni e gli argomenti del testo vincitore del 2011. Si tratta di una delle prime inchieste sulle sette italiane e raccoglie documenti inediti e testimonianze dirette. Un modo di raccontare queste realtà con un approccio diverso da quello dei media mainstream, che spesso le rappresentano come «piccole comunità di persone deboli plagiate da un “santone”». Ma il contenuto del testo è pronto a smentire qualsiasi approccio semplicistico di quanto esiste di sotterraneo nel Belpaese. Il titolo è Occulto Italia e a scriverlo sono i giornalisti d’inchiesta Gianni Del Vecchio e Stefano Pitrelli.  

L’anno dopo, il 2012, ad aggiudicarsi l’Aquila d’oro è la firma del Corriere della Sera, Federico Fubini con Noi siamo rivoluzione. Sì perché secondo l’autore «anche nel punto più basso di una crisi, noi europei restiamo deterministi ed egocentrici; pensiamo che tutto debba evolvere verso un modello di vita simile al nostro, sebbene non siamo più tanto sicuri di quale sia il nostro modello». Mentre invece andrebbe ricordato che «all’origine di ogni evoluzione, c’è una forte dose di anticonformismo». Ecco allora sette storie, sette rivoluzioni, caratterizzate da ingredienti comuni ma al contempo diverse tra loro.  

Dalla rivoluzione fuori a quella intangibile. Quella che si tiene viva ogni giorno all’interno delle mura domestiche e non solo. Il libro vincitore del Premio Estense nel 2013 è intimistico e, allo stesso tempo, ironico e toccante. Si tratta di Una notte ho sognato che parlavi del giornalista perugino Gianluca Nicoletti. Raccontata pagina dopo pagina c’è la storia di Tommy, suo figlio autistico. L’autore l’ha scritto quando Tommy aveva 14 anni, guidato dalla volontà di raccontare un’esperienza, una delle tante, che spesso rimangono inascoltate.  

Bisogna spostarsi tra le montagne e i ciliegi in fiore tra Antico Libano e Siria per immaginare gli scenari raccontati nel libro insignito del riconoscimento ferrarese nel 2014. È un testo scritto a quattro mani da Domenico Quirico e Pierre Piccinin da Prata. E narra di un viaggio in cui i due non sono soli. Con loro i miliziani dell’Armata siriana libera, gli oppositori di Bashar Assad, i ribelli. Con loro condividono 152 giorni di prigionia in stanze sudice e prigioni luride raccontati tra le righe di Il Paese del male.

Di autorità religiose, avvocati, rivoluzionari e attivisti che hanno cambiato il corso della storia recente si parla in A cena dal Papa. Il libro vincitore dell’edizione 2015 del Premio Estense. Scritto dal corrispondente, curatore di programmi tv, ma anche senatore e europarlmentare Jas Gawronski. Un testo che unisce le interviste più famose che hanno costellato la carriera del giornalista per metà italiano e per metà polacco. E poi, dopo sei anni, nel 2016 vince nuovamente una donna. Si tratta di Sabrina Pignedoli, giornalista, politica italiana e studiosa di mafia. Ed è proprio di questo che scrive in Operazione Aemilia, raccontando di come la ‘ndrangheta di Cutro abbia, nel tempo, conquistato tanto potere da introdursi e dominare anche Emilia-Romagna, alcune zone del Veneto e della Lombardia. Estorsioni, usura, incendi, ma anche politica. Pignedoli restituisce un racconto di come la mafia sia riuscita a entrare nelle amministrazioni pubbliche e abbia tentato di condizionare l’opinione pubblica attraverso i media. Sempre in tema mafia è l’opera vincitrice dell’anno successivo: L’assedio di Giovanni Bianconi. Le pagine di questo testo riportano a uno dei periodi più bui della Repubblica italiana, illuminato però da persone come Giovanni Falcone. Ecco che il libro, uscito venticinque anni dopo l’attentato di Capaci, ripercorre – attraverso documenti e ricordi – l’ultimo periodo di vita del magistrato che ha lottato contro Cosa Nostra. Cambia zona d’Italia ma non cambia il tema dell’opera vincitrice del Premio nel 2018. Ad aggiudicarsi l’Aquila d’Oro infatti è Federica Angeli con A mano disarmata. Cronaca di millesettecento giorni sotto scorta. Questa volta siamo a Ostia, dove vive la giornalista e autrice del racconto. Da anni si occupa dei clan locali e denuncia quanto accade tra quei palazzi. E pagina dopo pagina racconta la sua vita sotto scorta.  

Con l’ultimo libro vincitore degli anni Duemiladieci bisogna spostarsi invece in Libia, insieme alla giornalista Francesca Mannocchi e il suo Io Khaled vendo uomini e sono innocente. Un racconto delle migrazioni visto dagli occhi di un «carnefice». Khaled ha 30 anni e ha partecipato alla rivoluzione per deporre Gheddafi, ma la rivoluzione lo ha reso una parte della catena che si occupa del traffico delle persone. Fa i soldi, eppure «non si sente un criminale. Perché abita in un Paese dove sembra non esserci alternativa al malaffare».

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