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Un'umanista al Politecnico di Torino

11/04/2018

Bamboccioni, choosy, sfaticati: la lista delle nefandezze della gioventù italiana è ricca e deprimente. Eppure, si sa, non c’è più bella cosa che sfatare i luoghi comuni, le semplificazioni a tutti i costi. Abbiamo intervistato una giovane bolognese, Giulia Guglielmi, 21 anni e un percorso di studi e di crescita personale di tutto rispetto che cozza di molto con l’immagine stereotipata di una gioventù lassista e debosciata. Giulia ama la dimensione del viaggio e l’emozione che c’è nello scatto di una fotografia. Gli studi classici le hanno dato le basi per vivere meglio la complessità del mondo moderno. Dall’utilità della cultura tecnica è attratta a tal punto da decidere di trasferirsi a Torino, per intraprendere un corso di laurea in Ingegneria della Produzione Industriale al Politecnico.

Quest’anno concludi la laurea triennale in Ingegneria della Produzione Industriale al Politecnico di Torino: che cosa ti ha spinto a scegliere, dopo l’imprinting del liceo classico, la strada di una formazione più prettamente tecnica? È la rivincita della ‘téchne’ sulla tua anima umanistica o i due ‘aspetti formativi’, come facce della medesima medaglia, convivono?
“Per chi ha avuto una formazione umanistica alle scuole superiori la scelta di un percorso di tipo ingegneristico risulta sicuramente meno comune rispetto a chi proviene da studi tecnici o scientifici. Per quanto mi riguarda, la scelta è stata dettata da una voglia di cambiamento dopo cinque anni di studi classici, traboccanti di lingue ‘morte’ e autori vissuti secoli o addirittura millenni prima. Mi entusiasmava l’idea di iniziare un percorso verso la ‘téchne’, quindi verso l’acquisizione di capacità pratiche. Questa scelta significava quindi la necessità di approcciarsi a studi la cui applicazione concreta si ritrova nella vita di tutti i giorni. Inizialmente, quando ho scelto ingegneria come corso di studi, avrei scommesso che gli argomenti trattati all’università non avrebbero avuto nessun collegamento con gli studi appena conclusi. Ma dopo pochi mesi, mentre seguivo le lezioni, mi sono accorta che non era affatto così. Gli studi umanistici mi sono stati d’aiuto per l’avvicinamento a materie scientifiche mai affrontate prima, non perché mi avessero fornito delle conoscenze di base, ma per avermi dotato di una certa capacità di ragionare. Per esempio, quando ho dato l’esame di programmazione in linguaggio C, ho trovato che il tipo di ragionamento per realizzare un programma funzionante non era tanto diverso da quello impiegato per la traduzione di una versione di latino o greco. In entrambi i casi è infatti molto importante la logica, l’intuito, identificare gli elementi importanti, contestualizzare il problema. Inoltre, ho notato che i miei interessi di tipo umanistico, come la letteratura, l’arte e il teatro non si sono mai davvero sopiti con la fine delle superiori, anzi: sono rimasti un mezzo per distrarmi, da alternare agli studi di tipo tecnico, che richiedono molto ragionamento e poca fantasia e interpretazione personale”.

Consiglieresti a qualche ragazzo più giovane di te di intraprendere il tuo percorso di studi?

“Ritengo che questo corso mi stia arricchendo, oltre che dal punto di vista culturale anche dal punto di vista personale. Per quel che riguarda lo studio, sto avendo l’opportunità di seguire corsi sia in Italia che in Irlanda (dove l’anno scorso ho conseguito l’Higher Certificate in Business), e ho potuto notare numerose differenze nell’approccio all’insegnamento, allo studio e agli esami in queste due diverse realtà. Al Politecnico viene approfondito molto l’aspetto teorico, mentre in Irlanda viene curato molto di più l’aspetto pratico delle materie. Inoltre, sia al Politecnico che all’Athlone Institute of Technology (AIT) ho dovuto fare diversi lavori di gruppo ed esposizioni in pubblico, attività che preparano al mondo del lavoro. Il corso prevede anche di avere un approccio pratico immediato: è previsto un tirocinio curricolare sia durante la laurea triennale che durante quella magistrale. Per quanto concerne invece l’arricchimento personale, sto avendo l’esperienza di vivere come studente fuori sede sia in Italia che in Irlanda, dove tornerò l’anno prossimo per frequentare il primo anno di magistrale. Lo stile di vita nei due Paesi è completamente diverso. Inoltre, vi è molta differenza tra una grande città come Torino e un paese di 20mila abitanti come Athlone. Consiglierei quindi questo percorso a un ragazzo più giovane di me che abbia, innanzitutto, un interesse per materie tecnico-scientifiche e gestionali. Ma sicuramente, non meno importante, deve essere entusiasta all’idea di avvicinarsi a realtà completamente diverse da quella a cui è abituato e che sia già incuriosito dal mondo del lavoro”.

Terminato il liceo classico a Bologna, ti sei trasferita a Torino e da qui, dopo il primo anno della laurea triennale, sei partita alla volta dell’Irlanda per approdare all’Athlone Institute of Technology. Come si è arricchita la tua 'cassetta degli attrezzi' dopo questa esperienza di studio all’estero?
“Non vi è parola più indovinata di ‘arricchimento’ per definire un’esperienza di studio all’estero. Innanzitutto, ho potuto approfondire la mia conoscenza dell’inglese all’interno dell’università durantele lezioni, avendo così la possibilità di ampliare il lessico in ambito economico. Ma non solo: la vita di tutti i giorni richiede naturalmente di relazionarsi con le persone in qualsiasi tipo di attività, dalla semplice richiesta di informazioni all’acquisto di qualcosa in un negozio, e questo permette di tenere sempre allenato il proprio ‘speaking’. Inoltre, vivere un anno in Irlanda mi ha permesso di immergermi nello stile di vita del Paese, approfondirne la cultura, capire il perché di certe diversità rispetto all’Italia. Trovo che lo sperimentare cose diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati non possa che aprire la mente e aiutare a vedere da un’altra prospettiva le proprie tradizioni. La cultura irlandese però non è stata l’unica che ho incontrato: infatti durante l’anno ho vissuto in una residenza per studenti in Erasmus e Overseas. Ciò mi ha permesso di conoscere persone che provenivano dalle realtà più disparate. Per esempio, una sera sono andata a cena a casa di due ragazzi cinesi e, oltre che scoprire che il cibo che cucinano non è come quello dei ristoranti cinesi in Italia, ho anche avuto la possibilità di conversare e conoscere il loro Paese. Un fattore molto importante dell’esperienza è dovuto al fatto che Athlone è una piccola cittadina, e questo ha agevolato gli incontri con gli altri studenti, italiani e non. Questo ci ha dato la possibilità di legare molto, specialmente tra noi ragazzi del Politecnico, ma anche con i ragazzi provenienti da altri Paesi. Durante l’anno abbiamo organizzato tantissime feste, cene e incontri. Sicuramente, avere un’esperienza di studio in una grande città può dare tanto, ma non si potrebbe mai creare il calore che c’era nella nostra comunità di studenti ad Athlone”.

Nonostante la tua giovane età sei già entrata in contatto con il mondo del lavoro. È accaduto durante il tuo anno in Irlanda, nella sede di Dublino dell’azienda Datalogic. Che cosa conservi di quella parentesi e qual è, in generale, la tua percezione della situazione occupazionale giovanile a Bologna e in Italia?
“Il mio tirocinio presso Datalogic a Dublino è stata un’esperienza molto interessante. L’ambiente in ufficio era molto sereno e i colleghi si sono prodigati fin dall’inizio nel farmi sentire a mio agio. Ho apprezzato molto il fatto che ci abbiano tenuto a insegnarmi le procedure e spiegarmi il perché di certi meccanismi prima di chiedermi disvolgere le mansioni. Inoltre, una cosa che è molto importante e che non è da dare per scontata è il fatto che davano molto valore a ciò che facevo e mi hanno fatta sentire un membro importante del team. Ho imparato molte cose e ne conservo un bel ricordo. Ciò detto, non posso dire di avere una grande esperienza nel mondo del lavoro italiano. Da quello che si sente e si legge sui mass media, la situazione occupazionale giovanile in Italia non è delle migliori in questo periodo. Per quello che vedo, a Bologna si sta avendo una grande riqualificazione della cultura tecnica in questi ultimi anni. Alcuni miei amici che hanno frequentato istituti tecnici o professionali non hanno avuto difficoltà a trovare lavoro finiti gli studi, anzi sono state le aziende stesse a contattarli, e l’ambito per cui erano richiesti non era molto diverso da quello per cui si erano diplomati. Ovviamente non tutti hanno questa fortuna. Inoltre, persone con il diploma di un liceo hanno sicuramente più difficoltà nella ricerca di un lavoro, ma d’altronde è anche da considerare che chi sceglie questo percorso ha intenzione di proseguire gli studi. In merito alla situazione occupazionale in altre parti d’Italia non posso pronunciarmi e la realtà di Bologna non può essere considerata rappresentativa dell’intero Paese”.

Adori viaggiare e ami la fotografia. Prova per un momento a fissare attraverso l’obiettivo della tua Reflex uno sprazzo di vita di un coetaneo. Deve essere un’istantanea particolare capace di cogliere i chiaroscuri della vita di un giovane nel 2018. Che cosa inseriresti nel tuo book fotografico?
“Nella foto, il mio coetaneo si trova in stazione. Dietro di lui, sulla banchina, c’è la sua famiglia che l’ha accompagnato. Quelle persone rappresentano le sue radici e la realtà in cui è cresciuto. Davanti a lui invece ci sono i binari, il treno è fermo e con le porte aperte. Nello zaino che porta sulle spalle tiene il computer e il tablet, oggetti indispensabili oggi per studiare, lavorare o tenersi in contatto con le persone. In mano ha lo smartphone, con cui ormai vi è un rapporto che mi ricorda quello degli esseri umani con i daimon ne ‘La Bussola d’oro’. Il ragazzo è diretto in una città più grande, forse in Italia o forse no. Dal suo sguardo serio, si capisce che è tormentato dall’ancestrale dilemma: restare in Italia, con tutti i suoi difetti, ma che è il suo Paese d’origine e ha la cucina migliore del mondo, o andare all’estero, con molte più opportunità, ma dove non c’è la famiglia? È confuso e intimidito dalla realtà in continua evoluzione in cui viviamo. Il poter contattare chiunque vogliamo senza distinzioni, che sia il vicino di casa o un amico che vive dall’altra parte del mondo, sta cambiando la nostra idea di comunicazione. Abbiamo molte più possibilità, molte più strade da poter intraprendere, e questo da un lato è positivo, ma dall’altro ci confonde. Riuscirà, nonostantele incertezze che ci riserva il futuro, ad avere l’audacia di attraversare la linea gialla?”.

Bologna, Torino, Athlone… dove ti sentirai più a casa tra 10 anni?
“Bologna è ormai il posto in cui torno per rivedere gli amici e la famiglia, ma la considero la città che mi ha formato e a cui devo ciò che sono. Non saprei però dire come mi ci troverei tra dieci anni a vivere la vita di tutti i giorni. Torino è il luogo in cui ho iniziato a frequentare l’università e a vivere da sola. Grande, bellissima, traboccante di iniziative culturali, dal teatro alla musica. Purtroppo, in relazione alle opportunità offerte, l’ho vissuta troppo poco come città: le feste, i colori, i profumi, il cibo… il corso di studi che ho scelto non mi lascia mai abbastanza tempo per lo svago, e il fatto di viverci ad anni alterni non mi ha aiutata in questo. Athlone non posso non considerarla casa, è stato il posto in cui ho vissuto in una realtà parallela ed ho fatto esperienze completamente nuove. Ma al di là di questo mondo idilliaco da studente, cosa c’è? Bologna, Torino, Athlone… forse è proprio questo il punto, in questi ultimi anni sono stata per troppo poco tempo stabile in una città. Quello che penso è che la mia casa tra 10 anni potrebbe essere in una di queste città come in un’altra. In Italia o all’estero? In fondo che importa saperlo già ora?”.

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