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Gad Lerner: “Essere ebrei, oggi, significa scegliere come stare nella tragedia”

21/07/2025

Gad Lerner, giornalista, scrittore e a lungo conduttore televisivo
Gad Lerner, giornalista, scrittore e a lungo conduttore televisivo

di Silvia Conforti

Con “Gaza. Odio e amore per Israele”, Gad Lerner firma un libro che ha acceso il dibattito pubblico e suscitato reazioni opposte, tra entusiasmo e censura. In queste pagine si interroga sul significato dell’identità ebraica nel presente, senza eludere i conflitti. Un dialogo necessario, per chi rifiuta la logica del tifo nella tragedia mediorientale.

Lei scrive: “Decidere, dunque, che posizione assumere. Schierarsi…”. È possibile oggi essere ebrei critici di Israele senza sentirsi traditori o essere accusati di esserlo?

Io non tradirò mai il mio ebraismo, cerco semmai di preservarlo dalla pulsione distruttiva e autodistruttiva in cui è precipitato Israele. Questo libro mi è esploso fra le mani: ha avuto una diffusione inaspettata di decine di migliaia di copie, con richieste continue di presentazioni pubbliche; ma i portavoce istituzionali delle Comunità ebraiche italiane lo hanno sottoposto a ostracismo assoluto. Mi ha confortato sapere che gran parte della mia famiglia che vive in Israele la pensa come me. Lo spirito critico e il dissenso ebraico saranno la salvezza d’Israele. Non la forza militare.

Cosa vuol dire, per lei, essere ebreo dopo il 7 ottobre? È un’identità che si riaccende nel dolore, o che rischia di frantumarsi sotto il peso della polarizzazione?

Il 7 ottobre abbiamo dovuto decidere in poche ore. Di fronte alla tragedia che si abbatte sul nostro popolo dobbiamo rinchiuderci nel dolore e limitarci a una scelta di appartenenza, o continuare, anche in mezzo a una guerra feroce, la ricerca del dialogo con l’altro popolo che condivide la nostra terra? La seconda scelta aveva guidato tutta la mia vita precedente e mi è parsa ancora la più ragionevole. Così mi sono messo a scrivere.

Scrive che Israele è divenuto “paladino della destra mondiale”. Quanto pesa oggi questa alleanza ideologica sul destino democratico dello Stato ebraico?

Non mi fido di questi sionisti dell’ultima ora che rivolgono contro altri popoli e altre religioni le stesse parole di odio e disprezzo che i loro genitori riservavano a noi ebrei. Temo che Israele piaccia ai nazionalisti di destra in quanto modello di brutalità e suprematismo, cioè per le stesse ragioni che lo rendono inviso a gran parte dell’opinione pubblica. Se sta facendo un lavoro sporco, noi sionisti di vecchia data ci teniamo a far sapere che non lo fa per conto nostro.

Uno dei passaggi più forti del libro riguarda l’uso politico della memoria della Shoah da parte di alcuni settori israeliani. È possibile, secondo lei, “liberare” la memoria dallo scudo dell’impunità?

Gaza non cancella Auschwitz. Circola un pensiero orribile: che gli ebrei abbiano consumato il credito morale concesso loro per via del genocidio sofferto ottant’anni fa. Ma altrettanto orribile sarebbe pensare che da quell’immane massacro derivi una sorta di impunità morale per Israele. Solo i miei nonni paterni sono sopravvissuti alla Shoah, di una grande famiglia. Nessuno ha il diritto di ergersi a portavoce di quei morti per negare l’esistenza di un altro popolo, i palestinesi.

Lei scrive che “gli ebrei si sono ritrovati, per un rovesciamento paradossale, dal lato del dominio”. Come si può fare i conti con questa inversione senza negare la storia della persecuzione?

Uno degli effetti perversi di questa guerra è riproporre lo stereotipo più classico dell’antisemitismo: gli ebrei ricchi e potenti intenti a depredare gli altri popoli. Davvero paradossale, per chi conosce la composizione della società israeliana, immaginarla baluardo dell’uomo bianco e della civiltà occidentale alle prese con gli oppressi del sud globale. Ma quando il fanatismo può nutrirsi della paura e della disperazione attecchiscono pure queste sciagurate mistificazioni.

Dopo aver scritto questo libro, sente di aver chiarito la sua posizione o di essersi immerso ancora di più in una zona grigia?

Viviamo tutti immersi in una vasta zona grigia, noi che abbiamo la fortuna di vivere ai bordi e non dentro al vortice della guerra. Come ho già detto, questo libro mi ha letteralmente cambiato la vita. Dacché è uscito vado in giro per l’Italia dialogando con persone che non si accontentano di fare i tifosi di fronte a una guerra che si allarga a cerchi concentrici, col rischio di importarla in casa nostra.

Se dovesse scegliere un lettore ideale per questo libro, chi spera che davvero lo legga?

Spero lo legga chi non si limita a desiderare la pace ma intuisce che, per realizzarla, bisogna imparare a mettersi nei panni dell’altro. Anche del tuo nemico. Può essere faticoso ma è anche affascinante. In fondo il giornalismo e la letteratura vivono di questa vocazione a immedesimarsi. 

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