Il Nostro Team
Comunicazioni tecniche
Eventi
Fare News
Imprese Associate
{{ fifthTitle }}

Paolo Rumiz: “La scrittura è un modo per attrezzarsi di fronte alla realtà”

22/07/2025

Paolo Rumiz, giornalista, scrittore e viaggiatore triestino (Crediti foto: Adolfo Frediani)
Paolo Rumiz, giornalista, scrittore e viaggiatore triestino (Crediti foto: Adolfo Frediani)

di Silvia Conforti

Nel cuore di una notte d’insonnia, Paolo Rumiz accende una stufa e una riflessione urgente: “Verranno di notte” è un libro che veglia sull’Europa, minacciata da un ritorno delle barbarie. Un grido civile, che invita a non voltarsi dall’altra parte e a restituire forza e responsabilità alle parole.

Nel libro lei veglia accanto a una stufa accesa, in una notte d’insonnia. La scrittura è per lei un atto di resistenza solitaria o una chiamata collettiva?

Entrambe le cose. Questa scrittura che realmente, non solo nella finzione letteraria, è stata concepita certo non in un’unica notte ma in una serie di insonnie, è un modo per comunicare agli altri. Ormai un po’ per deformazione professionale che risente molto delle mie origini giornalistiche e un po’ per un ostinato senso del dovere civile, non riesco più a concepire la letteratura come invenzione ma come messa a punto di qualcosa che deve attrezzare colui che legge con un armamentario di parole necessarie a capire cosa ci succede, e questo libro è profondamente calato nella realtà.

Nel libro ricorre l’immagine del “virus strisciante del nazionalismo”. Che cosa rende oggi questa febbre identitaria così contagiosa, anche nei Paesi che un tempo sembravano immuni?

Il nazionalismo, e in particolare quello nella sua forma xenofoba o addirittura razzista, nasce da un istinto connaturato all’uomo, da una paura dell’altro. È un’evoluzione della paura primordiale dell’altro, e quindi facilmente attivabile. Avendo vissuta questa situazione in Bosnia e in Jugoslavia, sono convinto che questo sentimento si attiva più facilmente quando è artificialmente pompato e scientificamente preparato. Oggi, l’Europa è sotto attacco, è un’isola dei diritti che disturba la volontà di egemonia totale del capitale, anche della Russia e della Cina che sono profondamente capitaliste e occidentalizzate. Dietro al nazionalismo c’è un progetto scientifico di dirottamento dei popoli verso obiettivi di tipo nazionale e razziale, mentre il problema oggi è al mille per mille globale e il responsabile di questo è il capitalismo predatorio dell’ultra liberalismo. 

Scrive di “una sinistra inconsistente, lontana dal popolo e priva di etica, bravissima a decostruire ma non a proporre alternative”. È questa distanza, più che l’ideologia altrui, ad aver consegnato l’Europa alla notte?

Non c’è nessun dubbio. Il vero scandalo non è la vittoria di Trump della quale metà degli americani si dolgono e si vergognano, ma il fatto che, anche dall’altra parte dell’oceano, ci siano pochissime voci isolate che si contrappongono a questa trasformazione della cosiddetta democrazia americana. Di fronte a una narrativa che destruttura, distrugge, aggredisce e specula sulla paura, non esiste una contro narrativa che invece unisce. A una retorica divisoria e aggressiva manca completamente una risposta. Il baricentro di questo silenzio è proprio l’Europa e l’Italia è il baricentro di questo baricentro.

I treni, i confini, i convogli militari: la memoria del Novecento torna come un fantasma inquieto. C’è ancora tempo per salvarsi da una nuova catastrofe annunciata?

La catastrofe che arriva è molto diversa da quella delle Guerri Mondiali di un tempo. È una catastrofe strisciante, continua, che non fa notizia ma che è presente ogni santissimo giorno della nostra vita. Io credo che i segnali per una tempesta perfetta ci siano. I nostri figli e nipoti, a breve, seguiranno la stessa sorte dei poveri che bussano alla nostra porta venendo dall’Africa, dal Sud America o dall’Asia. Saranno la rappresentazione del superfluo per un mondo di aziende dove si annichiliscono le persone tramite un tweet: “non sei più utile, non ci servi più, torna a casa”. È questa la nuova guerra, una guerra strisciante, una guerra che si gioca con l’economia e che richiede una capacità illuminata.

Se questo libro è un grido, o un avvertimento, chi spera davvero lo ascolti? C’è un lettore che ha in mente, a cui vorrebbe arrivare più di altri?

I miei interlocutori ideali sarebbero proprio i più giovani, a partire da quegli stessi adolescenti che Tik Tok ha acchiappato per prima. Bisogna trovare un punto d’incontro, un luogo in cui narrarsi, in cui spegnere il frastuono della musica di sottofondo e di disturbo, per riuscire a riflettere sul dove stiamo andando. Tutto porta i ragazzi a distrarsi, a fuggire in una realtà parallela anziché affrontare quella reale che li minaccia. Servono parole in grado di bucare l’interesse di persone che sono cresciute molto di più davanti a una tastiera che di fronte alla vita. 

Leggi tutte le news, le interviste e gli aggiornamenti sul Premio Estense:  News | Premio Estense - Premio giornalistico italiano

Altri Articoli di Fare news