L’aumento della concentrazione di
anidride carbonica immessa nell’atmosfera, ha subito un’accelerazione
esponenziale causata da uno sviluppo economico incontrollato e dall’enorme
crescita della popolazione mondiale. Il problema è esploso negli ultimi
vent’anni, rendendo quanto mai urgente fermare questa tendenza. Le aziende più sensibili
si stanno già muovendo in tal senso. Ma la possibilità di realizzare davvero
obiettivi di sostenibilità passa attraverso la misurazione dei dati.
È quanto
emerso nel corso dell’incontro nell’Aula Magna di Ingegneria
dell’Università di Bologna, andato in scena martedì 5 aprile, moderato da Maurizio Melis, Giornalista di
Radio 24: circa 90 i presenti in sala e quasi 100 gli uditori da remoto. Tra le
testimonianze quella del prof. Giacomo Bergamini, delegato alla
sostenibilità dell’Università di Bologna, di Morena Diazzi,
direttore generale economia della conoscenza del lavoro e dell’impresa, Regione
Emilia-Romagna e del prof. Antonius Johannes Schröder, TU Dortmund
University - member of management board Social Research Centre.
E proprio in
questa sede è stato presentato per la prima volta, un progetto di misurazione
della sostenibilità unico in Italia.
Cosa significa
per un’azienda perseguire la sostenibilità? È solo questione di immagine
o la sostenibilità può essere un mezzo per innovare il proprio business
aziendale? Per orientarsi occorre poter disporre di strumenti di misurazione
efficaci ed effettivi per poter realizzare e comunicare all’esterno i
risultati raggiunti possibilmente declinati nei diversi ambiti della
sostenibilità: economica, ambientale e sociale.
Questa esigenza
trova risposta nell’elaborazione di un modello di misurazione.
“Lo strumento
- spiega Augusto Bianchini del Dipartimento
di Ingegneria Industriale dell’Università di Bologna – può essere esteso
a tutta la catena di valore e a livello di distretto, coinvolgendo fornitori e
clienti, fino ad arrivare al consumatore finale”. Diventa uno strumento
importante per tutta la collettività, adatto a favorire collaborazione e condivisione
verso nuovi modelli di business. E tra gli obiettivi di sostenibilità, la quantificazione
degli impatti ambientali consentirà scelte di miglioramento effettive proprio grazie
dall’utilizzo dei dati. Conclude il prof. Bianchini: “Esistono aziende
lente e aziende veloci, la tecnologia è disponibile a costo “quasi zero””.
Esistono cioè aziende che approfitteranno della tecnologia, digitalizzando i
processi e misurandoli in chiave di sostenibilità, diventando motore della
quarta rivoluzione industriale che, come le rivoluzioni industriali che l’hanno
preceduta, porterà a una trasformazione molto rapida delle nostre società.
Ed è proprio in questa direzione
che si è mossa Andi-Mec, società del
Gruppo Dico, azienda bolognese del
settore della meccanica di precisione che produce in outsourcing per la filiera
del packaging e che, partendo dalla digitalizzazione di tutti i processi
produttivi è passata dalla fabbrica 4.0 alla misurazione della Co2 di ogni
singolo prodotto.
“Siamo partiti nel 2017 – interviene Paolo
Venturi, amministratore delegato di Andi-Mec, società di Dico Group – e, con l’aiuto di un
esperto abbiamo avviato un programma di digitalizzazione volto a ribattezzare
l’azienda, da Andi-Mec a Andi-Mec 4.0. Abbiamo adottato il Mes (Manufactoring
Execution System) perché l’interconnessione delle macchine col sistema
informativo generasse informazioni utili per tutte le funzioni aziendali… Poi insieme all’Università di Bologna da tutti i
dati raccolti (i big data) abbiamo ricavato pochi indicatori sintetici (gli
smart data) di utilizzo pratico: le KPI” .
La disponibilità
dei dati, fa sì che in azienda, i neo assunti imparino molto in fretta e siano
incoraggiati al miglioramento grazie al confronto coi colleghi. Ma non solo, diventa
possibile fornire ai clienti informazioni sui processi produttivi agevolando il
controllo di costi e flussi logistici. Tutto questo nell’ottica di un continuo
miglioramento dei prodotti e quindi delle rese. Infine, sempre con il
supporto dell’Università di Bologna Andi-Mec riesce oggi a misurare: il Carbon
Footprint di ogni pezzo prodotto, cioè la quantità di Co2 immessa
nell’ambiente per realizzare ogni singolo componente, aprendo la via al
miglioramento degli impatti ambientali delle produzioni. Dunque il processo di
digitalizzazione centra obiettivi di sostenibilità sociale, economica e
ambientale. È il passaggio a Data Driven Factory vale a dire, conclude Venturi “"un modello produttivo altamente sostenibile: nelle
nostre officine il lavoro è ancora fatto con cura artigianale ma è anche documentato
con rigore digitale”.
A tutto vantaggio di un miglioramento effettivo dell’ambiente
di lavoro, della marginalità dei prodotti e della loro sostenibilità in termini
ambientali.
I dati di Andi-Mec per la
definizione delle KPI sintetiche di analisi, sono stati elaborati da Turtle S.r.l, spin off
dell’Università di Bologna, che grazie allo sviluppo del software ViVACE è in grado di
fornire alle imprese una valutazione quantitativa della loro sostenibilità. In
particolare, “La sostenibilità ambientale del prodotto, espressa in Co2
equivalente – spiega Matteo Colamonaco, assegnista di ricerca del
Dipartimento di Ingegneria industriale – è frutto di due contributi: consumi
specifici della lavorazione, come il consumo della materia prima e i consumi
generali di stabilimento riferiti a: consumo di energia, di acqua, produzione
di rifiuti e utilizzo di trasporti” ed è proprio questo il criterio
utilizzato per misurare la Co2 emessa per ogni singolo prodotto di Andi-Mec.
Il programma si presenta come gestionale della sostenibilità, in
grado di produrre indicatori e dashboard di performance chiari e applicabili da
subito al management aziendale consentendo di confrontare le scelte per
migliorare la sostenibilità delle attività produttive declinata nei vari ambiti.
Il suo nome
così originale è l’acronimo di Visualisation of Value to Asses Circular Economy
e sembra evocare proprio quelle aziende definite dall’ing Bianchini come veloci,
VIVACI appunto, e quindi attente al cambiamento: in grado di cogliere le
necessità del futuro traducendole in opportunità per il presente.
L’Università
di Bologna e Andi-Mec, hanno dunque realizzato un modello che permette di
misurare l’impatto ambientale e sociale dei processi di lavorazione meccanica,
contribuendo a sei degli obiettivi SDG’s dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Dalla sintesi tra il Data Driven Factory sviluppato da Andi-Mec e il
modello ViVACE di Turtle è nata la soluzione ideale per supportare le aziende
della Packaging valley che vogliono intraprendere la transizione verso la
sostenibilità sulla base di dati reali.
A chiusura
del convegno una tavola rotonda, che ha visto riuniti imprenditori e
dirigenti di importanti aziende della filiera del packaging: Pietro Cassani,
di Marchesini Group; Rocco De Lucia titolare di Siropack Italia, Paolo
Venturi di Andi-Mec; Gildo Bosi, responsabile R & D di Sacmi e
il prof. Augusto Bianchini. Ad aprire il dibattito, la proiezione di un
filmato. Il protagonista è Riccardo Pittis. L’ex giocatore di basket, oggi
motivational speaker, racconta di aver cambiato “mano di gioco” imparando a
giocare con la sinistra a causa di una sopraggiunta invalidità alla mano
destra. “È stata un’impresa molto difficile – racconta Pittis – che
ha richiesto un grande sforzo ma dimostra che cambiare, per quanto difficile e
impegnativo, sia possibile anche grazie alla collaborazione e al sostegno di
chi ci sta intorno”.
E proprio
questa la sfida che devono affrontare le aziende: un cambiamento per migliorare
la sostenibilità delle catene di fornitura, collaborando tra loro per rendere le
loro aziende più attrattive per le generazioni future, nel rispetto
dell’ambiente a favore per uno sviluppo realmente sostenibile.