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Milena Gabanelli e Simona Ravizza: “Così il diritto alla cura è diventato un mercato”

01/08/2025

Milena Gabanelli e Simona Ravizza, giornaliste d'inchiesta della rubrica Dataroom del Corriere della Sera
Milena Gabanelli e Simona Ravizza, giornaliste d'inchiesta della rubrica Dataroom del Corriere della Sera

di Silvia Conforti

Con Codice Rosso, Milena Gabanelli e Simona Ravizza ricostruiscono, numeri e documenti alla mano, come il sistema sanitario pubblico italiano sia stato progressivamente smontato dall’interno. Dalle liste d’attesa alle cliniche private, dai medici a cottimo alle Rsa trasformate in business, il libro indaga una deriva sistemica che riguarda tutti. Un’inchiesta pensata per informare, non per allarmare.

Parlate di «chirurghi senza esperienza adeguata» e medici «gettonisti da cooperative». Quanto influisce questa precarietà professionale sulla qualità dell’assistenza e sulla sicurezza dei pazienti?

Per quel che riguarda i chirurghi rispondiamo con un’altra domanda: “Chi si farebbe operare da un chirurgo che ha preso in mano il bisturi troppe poche volte per saperlo maneggiare?”.  Eppure, può succedere: l’abbiamo scoperto scandagliando documenti riservati sulle Scuole di specializzazione.  La legge stabilisce standard minimi per gli ospedali che le ospitano. Per esempio, per la Chirurgia vascolare, un ospedale deve eseguire 650 interventi all’anno e ogni specializzando deve effettuarne 90 come primo operatore durante i 5 anni di corso. Il Policlinico di Bari, per citarne uno, pur formando 19 futuri chirurghi vascolari, esegue solo 397 interventi all’anno. A meno che quasi tutti gli interventi siano svolti da uno specializzando come primo operatore, il che è evidentemente irrealistico, è matematicamente impossibile per tutti gli specializzandi completare il numero di operazioni richieste dalla legge, anche se un domani dovranno operare pazienti magari con aneurisma dell’aorta. Invece il problema dei gettonisti è che a coprire la mancanza di personale nei Pronto soccorso può arrivare uno non specializzato in Medicina d’urgenza che ingaggiato da una cooperativa spesso gira da un ospedale all’altro senza neppure rispettare i tempi di riposo tra un turno e l’altro. E, quindi, quale lucidità può avere nel curare un paziente dopo aver fatto 15 ore consecutive?

Scrivete che spesso si ricorre a interventi non necessari per ottenere rimborsi più alti. È un fenomeno sistemico o limitato ad alcune zone e strutture? Chi trae realmente vantaggio da queste dinamiche?

Si ricorre agli interventi “meglio remunerati” anche quando non sono appropriati. È il caso dell’artrodesi, che vuole dire mettere placche e viti alla schiena: fenomeno esploso nelle strutture private convenzionate di Milano, ma che poi s’è allargato ad altre Regioni, come l’Emilia-Romagna. E lo stesso meccanismo vale per altri interventi come la chirurgia bariatrica contro l’obesità oppure le protesi: la struttura privata convenzionata sceglie la prestazione meglio remunerata. E questo è sistemico.  Va detto anche che i medici che lavorano per queste strutture sono pagati a cottimo: più interventi fanno, più incassano. Di conseguenza c’è il rischio che, in un caso dubbio, tra la scelta di operare o di non operare scelgano la prima opzione anche quando non sarebbe strettamente necessario.

La speculazione sulle Rsa è un tema doloroso. Come siamo arrivati al punto in cui la cura dei più fragili – anziani, non autosufficienti – è diventata terreno di business? E che idea di vecchiaia riflette tutto questo?

Ci siamo arrivati perché il Sistema sanitario nazionale, oltre ai convegni e ai dibattiti, non destina le risorse necessarie. In questo “vuoto”, e di fronte alla disperazione di famiglie lasciate letteralmente sole, prolifera l’attività privata. L’idea di vecchiaia che riflette è quella di un cinico e indifferente abbandono.

Come giornaliste di Dataroom, avete incrociato fonti riservate, report governativi, testimonianze dirette. Qual è stata la fase più delicata o difficile per mantenere accuratezza e rigore senza cadere nella retorica dell’allarme?

Avevamo una parte che riguardava la costruzione di un programma basato sull’intelligenza artificiale da parte di un grande gruppo privato per individuare i pazienti ipocondriaci per sollecitarli a fare continui esami e visite a pagamento. Abbiamo citato questa eventualità en passant perché non abbiamo trovato il riscontro puntuale anche se le nostre fonti erano d’alto livello. Per il resto abbiamo lavorato sui numeri e sui documenti, e fin dall’inizio l’impostazione è stata quella di non suscitare allarmismi, ma consapevolezza tra i cittadini.

Nel confronto con altri Paesi europei, l’Italia è un’eccezione o parte di una tendenza più ampia verso la privatizzazione sanitaria? Cosa possiamo imparare da modelli più virtuosi?

Dagli altri Paesi si possono prendere dei pezzi, ma se parliamo di modello complessivo quello più virtuoso era il nostro.  È anche e soprattutto per questo motivo che va difeso a tutti i costi. Prima che diventi troppo tardi per salvarlo.

Chi legge questo libro, secondo voi, che ruolo può e deve avere? Non solo come cittadino elettore, ma come parte di una comunità che pretende trasparenza, dignità e cura.

Il cittadino è impotente, tanto più quando si trova nella fragile condizione del bisogno. Come cittadino elettore, invece, può fare moltissimo: pretendere che il candidato alla presidenza della Regione indichi durante la sua campagna elettorale chi sarà l’assessore alla Sanità.  A quel punto deve dedicare un po’ di tempo a informarsi sulle competenze e capacità dimostrate del soggetto in questione, perché sarà lui a decidere la politica sanitaria della Regione e a scegliere la filiera di dirigenti delle singole Asl. Un assessore “testa di legno” servirà tutti, fuorché i cittadini. Chi è informato può più difficilmente essere preso in giro dal politico di turno.

Se poteste mettere una sola pagina del vostro libro sulla scrivania del prossimo ministro della Salute, quale sarebbe?

Quella sui medici di medicina generale, affinché abbia il coraggio di varare la riforma che riguarda una professione che ha abdicato al suo ruolo di filtro. Con tutte le eccezioni del caso. Per farla deve essere capace di stare dalla parte dei pazienti e non delle lobby.  

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